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Im gestrigen Beitrag ging es um das Phänomen der sogenannten Bullshit-Jobs: Jobs, die sinnlos sind und niemandem einen echten Mehrwert bringen, aber dennoch existieren und oft sogar sehr gut bezahlt sind, zum Beispiel in der Werbe- oder Finanzbranche. Hier erzählen nun verschiedene Menschen (auf Deutsch und Italienisch) von ihrem eigenen Beruf und erklären, warum ihre Tätigkeit einen sinnvollen Beitrag für sich selbst und andere Menschen leistet.
“Per il futuro delle prossime generazioni“
Stephen Thierney, 46 anni, ristoratore, Bolzano
Quando è nato il nostro secondo figlio, mia moglie Petra e io abbiamo messo in discussione il nostro stile alimentare e siamo diventati vegani. Abbiamo fatto una scelta pensando al futuro dei nostri figli e ne hanno beneficiato anche la nostra salute, l’ambiente e gli animali. Abbiamo poi iniziato a pensare a come avremmo potuto dare vita a un’attività che potesse operare in questa direzione. Così, nel 2019 è nato Rockin Beets. Dall’inizio dello scorso anno portiamo con la nostra Cargo Bike dell’ottimo e sano cibo vegano ai*lle bolzanini*e. Ci riforniamo da contadini locali per la frutta e la verdura e le confezioni che utilizziamo sono esclusivamente in vetro o materiale biodegradabile. Mi occupo personalmente delle consegne e nel corso di quest’anno ho notato che sempre più persone mangiano vegano. Spesso capita che alcuni*e clienti precisino di essere onnivori, ma allo stesso tempo, rivelano di sentirsi meno stanchi*e fisicamente da quando mangiano regolarmente i nostri piatti. Il nostro servizio è molto apprezzato: prepariamo circa 500 pasti a settimana e ogni giorno faccio più o meno 120 consegne. All’inizio della nostra avventura abbiamo scelto di non effettuare le nostre consegne tramite piattaforme online, sia per le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i rider, sia per un’attitudine diversa che abbiamo verso il cibo. I menù presenti su quelle piattaforme sono solitamente fissi e fare un’ordinazione è molto semplice e rapido. Chi ordina i nostri piatti, invece, deve prendersi il tempo per ragionare e scegliere le combinazioni che preferisce. Siamo convinti che le azioni quotidiane di ciascuno*a siano importanti e abbiano un impatto determinante sull’ambiente e sul mondo circostante. Dobbiamo “solo” rendercene conto.
„Ich will die Zukunft positiv mitgestalten“
Martina Stuppner, 30, Architektin, Deutschnofen
Ich wusste schon in der Mittelschule, dass ich Architektin werden will. Das Interesse weckte mein Bruder, der eine technische Oberschule besuchte. In Innsbruck studierte ich Architektur und entdeckte da, wie spannend und frei Architektur und Technik eigentlich sein kann. Das ließ mich nicht mehr los und als ich nach dem Studium für ein Architekturbüro in Südtirol arbeitete, merkte ich bald: Das wars noch nicht, ich will noch mehr lernen und irgendwann meine eigene Chefin sein. In der Architektur-Branche ist es leider üblich geworden, dass Einsteiger*innen meist nicht in einem sicheren Angestelltenverhältnis, sondern als Freiberufler für ein Büro tätig sind. Sie werden dann zwar wie Angestellte behandelt, verdienen aber verhältnismäßig wenig und haben kein Anrecht auf bezahlten Urlaub, Krankengeld oder Kündigungsschutz. Im vergangenen Jahr habe ich daher gemeinsam mit zwei Partner*innen ein eigenes Architekturbüro gegründet. Ich genieße jetzt die Möglichkeit, selber mitzuentscheiden und auch das ganze Drumherum: Menschen treffen, Baustellen besuchen, die eigenen Vorstellungen verwirklichen. Für meine Arbeit und die Branche im Allgemeinen wünsche ich mir einerseits mehr Weitsicht und Mut, aber auch mehr Behutsamkeit im Umgang mit Landschaft und Baukultur. Dabei inspiriert mich besonders die Architektur, wie sie in anderen Ländern praktiziert wird, etwa in Südamerika, wo teils mehr Wert auf die Verschmelzung von Kreativität und Funktionalität gelegt wird. Es muss nicht immer alles neu erfunden werden, manchmal reicht ein Blick zurück oder über den Tellerrad. Mir ist es wichtig, mit Bestehendem, Traditionen und Materialien respektvoll umzugehen. Müssen wir wirklich alles ausreizen, die ganze Kubatur verbauen? Dafür versuche ich auch Auftraggeber*innen zu sensibilisieren. Ich will die Zukunft unseres Lebensraumes positiv mitgestalten und Verantwortung übernehmen.
“La vita mette di fronte a dei bivi”
Federico Simoncini Ulivelli, 35 anni, insegnante, Laion
Durante gli studi ho dovuto fare lavori che non erano ciò che desideravo, perciò appena terminata l’università e appena ne avuto l’occasione, ho creato una società con due amici per fare ciò che più ambivo. Avevamo avviato una cooperativa sociale di servizi per l’inserimento di “soggetti svantaggiati”. Realizzavamo varie attività che rendevano il lavoro dinamico e interessante. Questo era uno degli aspetti che apprezzavo di più. Quando, però, ho lasciato la Toscana per raggiungere la mia compagna in Alto Adige, ho abbandonato, non senza rammarico, quell’impiego che avevo creato. La vita mette di fronte a dei bivi e quindi ho dovuto scegliere. Scelta che non rimpiango, sia chiaro. Il trasferimento, però, mi ha portato a fare passi indietro dal punto di vista lavorativo che sinceramente avrei evitato. Mi sono trovato in un luogo senza conoscenze, con possibilità limitate dovute alla lingua – non conoscere il tedesco limita drasticamente le opportunità in certi settori – e sapendo di dover accettare la prima cosa che capitasse per necessità. Per tali motivi ho dovuto inizialmente dire di sì a un lavoro che mi portava fuori casa per più di 13 ore al giorno e per secondo un lavoro che non era assolutamente fatto per me. In entrambi i casi non ero felice perché ero sempre relegato in un ufficio e obbligato a una costante monotonia. Pur impegnandomi, come ho sempre fatto, non sono mai riuscito a lavorare con la stessa passione di prima. Pensare di svolgere un lavoro che non mi incentiva per almeno otto ore al giorno e per un tempo indefinito, mi mette ansia. Per questo ho sempre cercato di ritagliarmi il mio spazio senza arrendermi a ciò che mi si prospettava, fino a trovare alternative più stimolanti. Con un pizzico di fortuna, oggi, ho trovato un lavoro di cui inizialmente ero scettico ma che invece ora apprezzo molto, perché mi gratifica e mi ha fatto ritrovare la passione che avevo perso.
Petra*, 25, Studentin, Freienfeld
Nachdem ich ein angefangenes Studium abgebrochen hatte, habe ich eine Weile in einem Outlet-Center in der Filiale eines großen Sportbekleidungsherstellers gearbeitet. Von Anfang an gab es wenig zu tun. Das Geschäft war riesig und dementsprechend viele Leute waren angestellt worden. Das Problem war, dass es lediglich an Wochenenden und Feiertagen etwas zu tun gab. Ansonsten war oft Langeweile angesagt und Rumstehen. Bei großen Ketten scheint es nicht wirklich schlimm zu sein, wenn die eine oder andere Filiale nichts abwirft, da gilt: Dabei sein ist alles! Das Team war nett und die Bezahlung war auch gut. Trotzdem ging es mir nach einigen Monaten immer schlechter. Ich fühlte mich nutzlos und obwohl ich keinen Stress hatte, war ich ständig müde. Ich schaffte es nicht mal mehr, abends etwas für mich zu kochen. In der Nacht konnte ich nicht mehr gut schlafen. Da zog ich die Notbremse und kündigte. Als ich ging, hatte ich ein sehr schlechtes Gewissen meinen Kollegen gegenüber. Sie waren dringend auf den Job angewiesen, um ihre Familien zu ernähren. Sie hatten wenig Alternativen. Ich hingegen jobbte ein paar Monate in der Gastronomie und begann dann ein anderes Studium. Heute bin ich davon überzeugt, dass Unterforderung mindestens genauso schädlich für einen Menschen ist, wie Überforderung. Das war mir eine große Lehre.
*Name der Redaktion bekannt
“Ogni giorno ricomincio da zero”
Zoran Aleksov, 51 anni, streetworker, Bolzano
Lavoro nel sociale da diciotto anni. Arrivato in Italia dalla Macedonia nel 1993 e, una volta in Alto Adige dopo tanti anni a Milano, ho sentito l’impulso di cambiare vita professionale. Mi sono candidato per la posizione di animatore per un centro giovanile. Sono stato selezionato e da lì è partita la mia carriera nel sociale. Ho passato dieci anni nei centri giovanili e nel 2014 sono entrato a far parte dell’associazione Volontarius come streetworker. Mi si è aperto un mondo fino a prima nascosto. Lavoro prevalentemente con giovani dai 13 ai 17 anni. Sono fortunato perché riesco a incanalare alcune delle mie passioni nel lavoro: la ginnastica, la musica, la bmx, il djing, la grafica e i graffiti. Le passioni a volte possono fare la grande differenza e con i giovani – sia in situazioni di agio che di disagio – essere spontanei ha sempre funzionato. La mia più grande soddisfazione è riuscire a innescare processi creativi nei ragazzi e nelle ragazze che seguo, da cui poi è possibile per loro operare dei cambiamenti. Quello che faccio ha un grande impatto sulla società. Insieme ai miei colleghi, cerco di creare momenti di riflessione e di mostrare ai giovani che nessuno vive in un solo mondo, magari senza uscita. Esistono altri modelli e stili di vita. In questi anni sul campo ho conosciuto generazioni diverse e ritengo fondamentali la pazienza e la fiducia. In questo lavoro si vivono alti e bassi e, soprattutto all’inizio, non bisogna mollare. Si procede per obiettivi a lungo termine e i risultati possono arrivare quando meno ce lo si aspetta. Il mio passato da ginnasta mi ha insegnato che è meglio fare fatica che prendere scorciatoie. Io mi sento sempre come se fosse il mio primo giorno di lavoro. Questa attitudine mi consente di lavorare con entusiasmo ed energia e probabilmente per me questa è la soddisfazione più grande.
„Wer pflegt dann mich?“
Ludmilla Stefanska, 65, Pflegerin in Rente, Polen
Ich habe 28 Jahre lang als „Badante“ in Italien gearbeitet, zuletzt in Südtirol. Wie tausende andere Frauen aus Südamerika und Osteuropa habe ich für diesen Job meine Familie, meine damals noch kleinen Kinder verlassen. Die Zeiten waren schwierig und nur so konnte ich ihnen ein besseres Leben, eine gute Ausbildung ermöglichen. Ich habe sehr viel gearbeitet, hatte kaum freie Tage, weil ich das auch nicht wollte. Was sollte ich mit Freizeit in einem Land, wo mich nichts hielt, außer die Arbeit? Ich wollte so viel Geld wie möglich nach Hause schicken. Dafür habe ich viel versäumt, meine Kinder oft monatelang nicht gesehen, nicht miterlebt, wie meine Enkel geboren wurden. Trotzdem war ich mir immer sicher, dass meine Arbeit wichtig und sinnvoll ist. Es gibt immer mehr alte und pflegebedürftige Menschen. Die Heimplätze sind begrenzt, viele Familien können nicht selber ihre Angehörigen pflegen. Ich hab gesehen, wie allein manche alte Menschen sind. Das hat mich oft auch traurig gemacht. Aus meiner Gegend gehen heute nicht mehr viele Frauen ins Ausland und ich frage mich oft, wer wohl die Alten der Zukunft in Deutschland und Italien betreuen wird. Ich bin heute selber nicht mehr die jüngste, der Rücken und die Gelenke machen Probleme. Mein Job hat Spuren hinterlassen. Immerhin habe ich darauf geachtet, dass meine Arbeitgeber mich richtig angemeldet haben, und ich bekomme eine kleine Rente. Vielen Kolleginnen geht es schlechter, sie haben jahrelang prekär geschuftet und heute haben sie nichts, nur eine angeschlagene Gesundheit. Ich denke daran, wer mich wohl eines Tages pflegen wird. Das macht mir manchmal Sorgen.
Texte von Alessio Giordano und Lisa Frei
Dieser Text stammt aus der Ausgabe Nr. 64 von zebra.
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